venerdì 24 agosto 2012

Cesare, Cesare

Oggi in Norvegia è stato il gran giorno, c'è stata la sentenza di primo grado per Anders Behring Breivik, il killer delle stragi di Utoya e Oslo.


L'estremista è stato condannato a 21 anni di carcere, e su internet ovviamente (in particolare su twitter con l'hashtag #Breivik) si è scatenato il coro di tutti coloro che si lamentavano di questa sentenza.

Troppo breve, si dice, rapportata al numero degli uccisi. Fatto sta che in Norvegia quello è il massimo della pena, ed è perfino prolungabile nel caso sia ritenuto un pericolo rimetterlo in libertà.

Non vedo quindi dove stia il problema. Ma forse le persone preferiscono il nostro sistema, dove le sentenze arrivano dopo millemila anni dal reato e si danno pene lunghissime per accontentare la folla inferocita per poi farli uscire tutti prima del tempo.

Cesare, scelgo te: 

A misura che le pene divengono piú dolci, la clemenza ed il perdono diventano meno necessari. Felice la nazione nella quale sarebbero funesti! La clemenza dunque, quella virtú che è stata talvolta per un sovrano il supplemento di tutt’i doveri del trono, dovrebbe essere esclusa in una perfetta legislazione dove le pene fossero dolci ed il metodo di giudicare regolare e spedito. Questa verità sembrerà dura a chi vive nel disordine del sistema criminale dove il perdono e le grazie sono necessarie in proporzione dell’assurdità delle leggi e dell’atrocità delle condanne. Quest’è la piú bella prerogativa del trono, questo è il piú desiderabile attributo della sovranità, e questa è la tacita disapprovazione che i benefici dispensatori della pubblica felicità danno ad un codice che con tutte le imperfezioni ha in suo favore il pregiudizio dei secoli, il voluminoso ed imponente corredo d’infiniti commentatori, il grave apparato dell’eterne formalità e l’adesione dei piú insinuanti e meno temuti semidotti. Ma si consideri che la clemenza è la virtú del legislatore e non dell’esecutor delle leggi; che deve risplendere nel codice, non già nei giudizi particolari; che il far vedere agli uomini che si possono perdonare i delitti e che la pena non ne è la necessaria conseguenza è un fomentare la lusinga dell’impunità, è un far credere che, potendosi perdonare, le condanne non perdonate siano piuttosto violenze della forza che emanazioni della giustizia. Che dirassi poi quando il principe dona le grazie, cioè la pubblica sicurezza ad un particolare, e che con un atto privato di non illuminata beneficenza forma un pubblico decreto d’impunità. Siano dunque inesorabili le leggi, inesorabili gli esecutori di esse nei casi particolari, ma sia dolce, indulgente, umano il legislatore. Saggio architetto, faccia sorgere il suo edificio sulla base dell’amor proprio, e l’interesse generale sia il risultato degl’interessi di ciascuno, e non sarà costretto con leggi parziali e con rimedi tumultuosi a separare ad ogni momento il ben pubblico dal bene de’ particolari, e ad alzare il simulacro della salute pubblica sul timore e sulla diffidenza. Profondo e sensibile filosofo, lasci che gli uomini, che i suoi fratelli, godano in pace quella piccola porzione di felicità che lo immenso sistema, stabilito dalla prima Cagione, da quello che è, fa loro godere in quest’angolo dell’universo.
Poi vabbè, ci sono pure tutti quelli che dicono "lasciate decidere alle famiglie degli uccisi la sentenza". Viva la giungla...
Mi permetto di ricordare questa fantastica lettera scritta da un sopravvissuto.

Nessun commento:

Posta un commento